L’ultimo disco dei Cure su Mattino, Nuova e Tribuna

Avere trent’anni all’alba del 2000 e rivedersi nelle pagine di Nuzzolo

È tornato in libreria, dopo quindici anni o poco più, il libro di esordio di Massimiliano Nuzzolo, scrittore veneto che ha firmato, nel frattempo, una manciata di romanzi come “Fratture”, “L’agenzia della buona morte” e il più recente “La verità dei topi”. Mestrino, quasi cinquant’anni, Nuzzolo si occupa professionalmente di musica, ma la scrittura gli è rimasta dentro, anche se per qualche anno si è concesso, in passato, una pausa. Ora ha ripreso a scrivere con costanza nel suo stile a tratti paradossale, che irride la contemporaneità, il mondo dei media e gioca con la letteratura che rimane la sua grande passione. Da questo punto di vista “L’ultimo disco dei Cure” (Arcana, pp 171, 15 euro), che da pochi giorni è tornato in libreria, rappresenta un antecedente rivelatore, perché molti elementi narrativi di Nuzzolo (la passione per l’esistenzialismo, il guardare la realtà in modo lievemente distorto, la centralità della musica) sono già lì, anche se in modo meno vistoso.

Nuzzolo è uno degli autori scoperti da Giulio Mozzi, che pubblicò “L’ultimo disco dei Cure” nel 2004 nella collana che dirigeva per Sironi. E fu un libro di, sia pur relativo, successo perché fotografava una generazione, un momento storico che precedeva la crisi e ancora poteva consentirsi forme di leggerezza: un clima culturale in cui la musica dominava la scena, ma non era ancora diventata la colonna sonora ossessiva della contemporaneità. Da questo punto di vista il libro appare oggi quasi un romanzo storico, un po’ come i Cure sono ormai un gruppo storico, anche se continuano a suonare. “L’ultimo disco dei Cure”, grazie alla sua freschezza e a un titolo più che riuscito, ottenne all’epoca molta attenzione. Rischiò di diventare un film, fu richiesto all’estero, rimase – insomma – sul bordo del mondo editoriale, senza riuscire a sfondare del tutto. Riletto oggi, alla luce della piega dark e all’inclinazione satirica e a tratti grottesca dei libri successivi di Nuzzolo, il romanzo si presta a una lettura diversa da quella di quindici anni fa. Questi trentenni alla ricerca di se stessi, un po’ illusi, un po’ velleitari, critici verso il mondo dominante ma incapaci di trovare risposte, sembrano preludere a quello che sarebbe venuto dopo. Trasmettono un disagio che allora poteva ancora illudersi di trovare sfogo nella musica, nell’amore, nel rimpianto di una infanzia perduta, ma subito dopo si sarebbe rivelato qualcosa di più profondo e amaro. È un libro che come il “Boccalone” di Palandri (per gli anni Ottanta) o il “Jack Frusciante” di Brizzi (per gli anni Novanta) esprime una fase dell’esistenza attraverso una colonna sonora in cui si rispecchiano ansie, tensioni, attese che poi saranno deluse. E non per nulla a ripubblicare il libro è ora una storica casa editrice musicale come Arcana. –N.M.I.

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